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Il teatro? Da Casoria il viaggio della crescita consapevole

Un amore viscerale per il teatro e in particolare per quello napoletano, del grande Eduardo De Filippo. La Commissione ha fatto centro, nell’attribuire il “Premio speciale per il teatro dialettale” al corto teatrale “Marsina stretta” di Matteo Caccavale, Alfonso Petrellese, Giusi Rainone, presentato dal Liceo Statale “Gandhi” di Casoria, in provincia di Napoli. Infatti i commissari, che valutano gli elaborati distinti per numero progressivo, non potevano sapere che  dietro questo appassionante lavoro ci fosse la guida di una docente, quale la professoressa Carmela Giacometti, che ha dedicato la sua vita non soltanto all’insegnamento ma anche al teatro.
La prof. Carmela Giacometti
La prof. Carmela Giacometti
Professoressa, quando nasce in lei questa passione? Chi sono i Carmenauti? 

Sono  felice di aver riscosso l’interesse sul mio lavoro di docente, autore e regista. La mia passione viaggia lontano, ai miei anni d’infanzia, quando in televisione il venerdì era dedicato al teatro in prima serata, dopo il fatidico Carosello. Insieme alla mia famiglia incollata allo schermo a vedere e “mangiare” tutti i generi teatrali da Shakespeare a De Filippo, Garinei e Giovannini. Per noi napoletani il teatro significa Viviani, Scarpetta. Eduardo, ho avuto il privilegio di vederlo recitare proprio nel suo adattamento del “Il Berretto a sonagli” alla fine degli anni Settanta. Questo forte interesse per il teatro si è trasformato quasi per caso in passione concreta nel 1985 quando ho formato la mia prima compagnia “La Spei” ( La Scompagnia Precaria Ed Instabile) attiva nei maggiori teatri napoletani fino al 1999. Ho messo in scena varie opere tra cui “Suspire, vase, musica e passione : storia di una città nelle sue canzoni” un mio testo sulla storia della canzone napoletana dalle origini a Pino Daniele. Poi mi sono dedicata alla famiglia e soprattutto a mia figlia. Ma ho continuato a fare teatro con i miei alunni partecipando a vari concorsi teatrali sempre con testi originali sviluppati con un mio personale metodo di scrittura collettiva. Poi nel 2012 quando ormai mia figlia era cresciuta e poteva anche aiutarmi, ho ripreso a fare teatro e ho creato “I Carmenauti” viaggiatori della poesia.

Il Teatro è uno strumento didattico, un’occasione di crescita, è responsabilità e consapevolezza di sé? Che cosa è per lei quando si cimenta in una messa in scena con e per i suoi ragazzi?

Il teatro è stato per me da sempre uno strumento didattico straordinario per far affrontare ai miei alunni il viaggio della crescita consapevole, soprattutto il principio di responsabilità personale che dagli Ittiti e Sumeri è presente nella nostra civiltà ma che si tende sempre a rimuovere. Ai miei alunni dico sempre che devono essere un esercito di “domandanti” e non di “zittiti” questo è il senso del mio teatro con i ragazzi, dimostrando loro che si può affrontare qualsiasi problema senza doversi mai sentir dire” siete troppo piccoli per capire” io comincio dal biennio e nel passato anche dalle scuole medie.

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Regista e autrice non solo di Teatro. La creatività si sposa con la comunicazione nel video “La consapevolezza che rende liberi” in cui in modo emozionante i ragazzi veicolano il messaggio secondo cui niente è impossibile,  se non ciò che vogliamo che sia tale. Cambiare paradigma si può anche nella terra dei fuochi. Qual è il ruolo della scuola e in che modo gli studenti recepiscono  messaggio? Con quale forza per divenire messaggeri nei rispettivi contesti socio-familiari?
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Con il video della terra dei fuochi “La consapevolezza ci rende liberi” abbiamo vinto il primo premio della rassegna Pulcineamente  il “maccus atellano”, in precedenza con “Insieme si può” sull’integrazione multietnica, ed ancora contro l’omofobia con “ L’unico  vero peccato è la stupidità” e poi sulla lettura “ Vivi, sogna: leggi”. Quest’anno con gli stessi autori del corto in concorso abbiamo partecipato a varie iniziative: il Concorso promosso dall’ITI Unesco a tema libero, con il testo “Tre autori in cerca di personaggi “un corto teatrale, ho guidato i ragazzi sull’educazione al fallimento, tematica che considero fondamentale nella nostra società di competizione aggressiva, che spesso lascia i ragazzi soli ad affrontarlo talvolta con conseguenze estreme. Alcuni casi di suicidio tratti dalla cronaca hanno stimolato le riflessioni. Inserisco sempre il loro mondo nella mia attività didattica; il Concorso regionale “Le rose di Ravensbruck” sulla persecuzione della donna nei lager, i ragazzi hanno scritto una fiaba “La shoah raccontata a mio nipote” che attraverso la simbologia favolistica: orchi, gobblins, stregoni cattivi, hanno percorso una strada alternativa al racconto tradizionale. L’allestimento curato da me si è avvalso di sagome dei personaggi citati che sottolineavano i passaggi salienti. Il lavoro apprezzatissimo è risultato primo nella selezione provinciale e secondo in finale, siamo stati battuti dagli “effetti speciali” ovvero un’orchestra di 72 elementi del liceo musicale di Nocera che ha eseguito un concerto di musiche da film. Ma l’esperienza è stata bellissima comunque. Gli studenti vengono coinvolti in maniera totale e si ritrovano spesso a fare considerazioni sulle quali non si sarebbero mai soffermati. Positivo è anche il coinvolgimento delle famiglie e la trasmissione dei messaggi nel loro contesto socio-familiare, gli amici sono le prime “cavie” per verificare l’efficacia.

La prof. Giacometti con gli studenti partecipanti al Concorso
La prof. Giacometti con gli studenti partecipanti al Concorso
 Come ha avuto origine la vostra partecipazione al Concorso? In che modo i ragazzi hanno vissuto l’esperienza dell’elaborazione di un testo teatrale tratto da una novella di un autore come Pirandello? Lo hanno sentito distante al punto da volerlo attualizzare o ne hanno avvertito la contemporaneità al punto da volerlo adattare al proprio vissuto?  Si può  ancora insegnare Pirandello senza annoiarli? Quanto è importante stimolare le loro riflessioni? Si può ancora chiedere loro di fermarsi a pensare in un mondo irradiato da milioni di informazioni che corre velocissimo sugli smartphone e sul web? 

Le informazioni sul concorso mi sono arrivate dal mio dirigente che conoscendo la mia attività mi segnala tutte le iniziative di teatro, poiché avevo già creato un piccolo gruppo di autori mi è sembrato naturale continuare a stimolarli anche su questa tematica, tra l’altro essendo alunni di 5 ^ Pirandello è parte integrante del programma. Del resto anche con il primo lavoro il riferimento a Pirandello c’era già stato, ho unito il nostro dna di napoletani ed ho suggerito loro il confronto con Eduardo. Sono stati molto coinvolti, Pirandello risulta quanto mai attuale e contemporaneo al loro vissuto. Oggi come allora, la società impone le sue maschere dal quale ogni giorno si cerca di liberarsi. Insegnare Pirandello è ancora estremamente efficace, per loro risulta l’autore più interessante proprio perché così vicino. Si può ancora chiedere di fermarsi a pensare, così i ragazzi prendono coscienza delle loro maschere, antiche e nuove, e si staccano dal flusso incessante dello smartphone e del web diventando “forestieri” della vita, in una visione globale di ciò che li circonda. Per quanto mi riguarda la lezione dell’umorismo pirandelliano è parte fondamentale del mio lavoro di autrice, non c’è argomento sul quale non si possa riflettere attraverso “il sentimento del contrario”. La mia stessa disabilità è fonte di riflessione umoristica sono la prima a scherzare su di me.

 

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