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Due lingue, uno stesso cuore: i valori universali nell’opera della Scuola Italiana di Atene

Sarà una corposa delegazione di 16 persone a rappresentare Atene al Concorso “Uno, nessuno e centomila”. La Scuola italiana della capitale greca ha infatti vinto il secondo Premio per la drammaturgia, sezione SSPG, con il corto teatrale “La diagnosi”. A firmare l’elaborato, Natalia Zoi Pillisio, Francesco Lonato, Aleksandra Hasani, Spiros Ogourousis, Alexandra Athanassiou, Caterina Palluchini e Zoi-Sofia Colosimo.

“Per i ragazzi è stata la prima volta – racconta la referente del progetto, la professoressa  Dimitra Giannarà – e questa è stata la sfida. Finora abbiamo solo sviluppato dialoghi di stesura limitata come esercizio di role-playing nell’ambito della nostra lezione. Invece, adesso i ragazzi hanno montato una storia verosimile ispirata da un’opera teatrale già nota. Questa è stata comunque la ragione per la quale abbiamo scelto di ri-scrivere una novella già portata in scena da Pirandello stesso: così che i ragazzi possano prima familiarizzare con il modo con il quale prende vita davanti a loro un testo scritto”.

La partecipazione al concorso si è, paradossalmente, realizzata nell’ambito delle lezioni di greco. Dunque i ragazzi non hanno avuto davvero il tempo di studiare a fondo, e in modo sistematico, l’opera dell’autore siciliano, dal momento che si doveva seguire il percorso curricolare che prevede l’insegnamento della lingua e della letteratura greca. Eppure sono riusciti a cogliere nel segno e lo dimostra il loro posizionamento.

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“L’interesse degli studenti per i contatti letterari tra la Grecia e l’Italia, l’ambiente molto stimolante della Scuola Italiana di Atene, il mio amore per Pirandello e l’occasione del concorso ci hanno fornito l’opportunità di studiare alcune delle novelle pirandelliane e di parlare della differenza tra l’umorismo e il comico, dell’ipocrisia degli uomini, dello smarrimento psicologico degli uomini – reali e fittizi – durante i periodi di crisi, tematiche che riguardano l’opera di Pirandello”.

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 Le riflessioni che Pirandello stimola sono sempre attuali. Quali sono le vostre impressioni?

“Oggi viviamo un periodo di crisi, parola che in greco ha un doppio significato: crisi economica e ideologica, ma pure occasione di riflessione critica sulle priorità individuali. Gli studenti sperimentano questa crisi, anche se in teoria il profilo economico non riguarda loro. Ma in pratica, l’incertezza su chi ci si possa fidare, la difficoltà di distinguere la bugia dalla verità, la falsità dalla sincerità, sono argomenti che mettono tutti in crisi, ogni giorno, e sono argomenti sui quali Pirandello indaga, senza certamente offrire verdetti definitivi. Chi è davvero colui che si presenta come un bravo capofamiglia, come un impiegato scrupoloso, come un cittadino che rispetta le leggi? Oppure, dando alle domande una dimensione più attuale: chi è la persona che dà su Internet un’informazione presentandola come vera, la persona che mi si presenta come amico ai social media, o quella che mi chiede di affidargli il voto e il mio futuro?”

Anche per la docente della Scuola italiana di Atene, il laboratorio teatrale è di fondamentale aiuto per i diversi ambiti dell’educazione scolastica.

“Offre un contesto autentico che permette di migliorare nella lingua italiana chi, tra i nostri ragazzi, non ha come lingua madre l’italiano; crea le condizioni ideali per rendere gli studenti più estroversi, più espressivi e quindi li aiuta a migliorarsi nella prova orale. Inoltre fa sviluppare rapporti più stretti tra i ragazzi e tra i ragazzi e gli insegnanti. Possiamo anche aggiungere che arricchisce la nostra offerta formativa offrendo la possibilità di imparare la letteratura in modo più creativo”.

 L’esperienza del Concorso ha assunto per loro un valore ed è stata un’opportunità che hanno voluto cogliere al volo.

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“Perché gli studenti hanno potuto mettere in contatto diretto una parte autentica della cultura italiana con la loro ispirazione originale, basata su spunti che ricevono ogni giorno in un ambiente non-italiano. Il nostro obiettivo fin dall’inizio è stato quello di evidenziare il carattere doppio del bagaglio italogreco degli studenti: di assimilare un’opera classica, di rilevare gli elementi che la rendono familiare a loro e di arricchirla con le loro esperienze. Questo nostro obiettivo è stato l’ulteriore motivo che ci ha fatto lavorare sulla novella La morte addosso, dal momento che tutto girava intorno a una malattia che otteneva un nome grecissimo: epitelioma. Quando ho tradotto la parola epitelioma in greco, spiegando anche la sostanza di questo carcinoma cutaneo, cioè che – come ogni forma di cancro – non è contagioso e che specialmente questo tipo di carcinoma raramente porta alla morte se diagnosticato in tempo, ho intravisto un bagliore negli occhi dei ragazzi: quindi l’eroe pirandelliano alla fine non muore, vero? Nel testo di Pirandello ‘L’uomo dal fiore in bocca’ è destinato a morire, perché non ci viene mai data un’indicazione del contrario. Ma il concorso ci ha dato l’opportunità di riscrivere la storia, di ‘correggere’ l’errore medico e di regalare all’eroe la speranza. Abbiamo fatto una nuova diagnosi – ecco il titolo dell’opera – e non abbiamo permesso alla malattia di mettere il suo brusco punto finale all’opera”.

Gli studenti hanno affrontato un tema difficile, poco adatto alla loro età e hanno reinventato il finale, che rimane sospeso… In realtà quale effetto auspicano di produrre sul lettore o sullo spettatore? Un senso di smarrimento… Perché le urla?

“Abbiamo deciso di riscrivere l’opera, prima di tutto eliminando i lunghi monologhi e dando un ritmo più veloce e vivace ai dialoghi. E abbiamo dato anche una fine nuova alla storia in base ai dati medici, ma anche alla situazione sociale di oggi. Il tentativo è stato davvero difficile e le proposte dei ragazzi varie: una fine ottimista (abbiamo bisogno della speranza!), concludere l’opera con un terremoto (mi è piaciuta molto questa proposta catastrofica dei ragazzi, che inserirebbe L’uomo dal fiore in bocca nei grandi Miti Sociali del teatro pirandelliano, accanto alla Nuova Colonia, un’opera questa che i ragazzi non hanno studiato) oppure inabissare il protagonista in una disperazione più complessa, più profonda, più moderna. L’alibi della malattia è sparito, il malato si salva. Ma anziché essere felice, lo vediamo immerso in un’impasse psicologica. Non sa gestire la propria vita, si trova in un imbarazzo esistenziale che implica condizioni molto più complicate rispetto alla crisi economica che oggi colpisce l’Europa mediterranea. Nella nostra opera, il protagonista urla molte volte al turista che non lo ascolta, che non lo capisce, che è solo, senza famiglia, senza figli, senza amici, senza un appoggio, con seri problemi economici, che si sente soffocare in una quotidianità che non lo soddisfa e che la morte per lui sarebbe una soluzione, romantica e dignitosa. Adesso questa soluzione non arriva da Dio, come una malattia, ma viene sostituita dall’imbarazzo di una scelta: dimissione o rivincita; pianto o rabbia; abbandono o aggressione. Abbiamo lasciato sospeso, dunque, il punto finale all’opera. Cos’è effettivamente successo alla fine? Il protagonista, che si vedeva pronto a suicidarsi in mezzo alla gente (forse come un ultimo tentativo di attirare l’attenzione del suo prossimo, tentativo già rivelato dalla facilità con cui ha affidato la notizia della sua malattia incurabile a un turista qualunque), si è vendicato? Ha lasciato che la figlia del turista bevesse il veleno del suo bicchiere, poiché il turista ha mostrato poco rispetto nei confronti della sua “malattia” con un riso che nell’opera si ripete in modo fastidioso e irritante? Alla fine si sente rompere un bicchiere: il rumore cos’era? Quello del bicchiere caduto dalle mani della giovane ragazza dopo che il veleno ha fatto il suo effetto? Oppure il protagonista stesso ha strappato il bicchiere dalle mani della ragazza, prima che lei bevesse, pentito del male che avrebbe voluto fare al turista? Oppure il bicchiere è caduto dalle mani dell’italiano, quando lui l’ha preso dalle mani della ragazza e ha bevuto il veleno, portando così a termine la sua prima decisione? E perché gli urla? Come reazione allo svenimento della ragazza o alla reazione spasmodica e inaspettata del placido Italiano? La diagnosi rivelata nella metà dell’atto unico ha edificato gli elementi logici verso il capovolgimento aristotelico. Ma l’ultimo quasi-delitto ha portato il finale, la catastrofe elisabettiana che ormai impone un profondo rispetto per le leggi della nuova malattia dei nostri tempi, riconoscibile anche per la malinconia che provoca in tutti”.

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Il testo riporta riferimenti alla lingua greca e perfino il caffè greco che non serve caffè greco è molto divertente.

È interessante apprendere come i ragazzi vivano il rapporto tra le due culture, come ne avvertono le similitudini, le affinità, le radici comuni, nonostante l’alfabeto sia diverso.

“Come già detto, il nostro obiettivo iniziale è stato quello di accostare la cultura greca a quella italiana, soprattutto perché il tema più vasto del concorso per il 2018 è “Italia, Culture, Mediterraneo”. Il caffè greco di Roma ha funzionato come scenografia ideale: si presenta come greco mentre effettivamente non lo è. Con humour abbiamo risistemato le prime impressioni e abbiamo proposto un allestimento scenico ulteriormente greco, presentando un turista greco che parla con L’uomo dal fiore in bocca, adesso chiamato semplicemente Italiano. Riferimenti greci sono sparsi in tutta l’opera: nel gioco di parole intorno all’epitelioma e la paretimologia dalla parola greca telos (-fine), nella spensieratezza accanto alle spiagge che caratterizza in modo stereotipico all’estero un greco, persino nella canzone da noi scelta per la fine, tutta in parole straniere di provenienza greca. Infine, persino come sottinteso, con l’etimologia che Pirandello stesso attribuiva al suo cognome: pyr+angelo, angelo del fuoco: così l’Italiano chiama il turista quando gli svela la verità intorno alla sua malattia.

Gli elementi greci che si sono inseriti nel nostro atto unico rispecchiano la doppia identità culturale degli studenti che non viene concepita come tale da loro stessi, visto che la vivono come unica, omogenea e totale. Non si diversificano in due alfabeti, in due stili di vita cercando di individuare ogni volta cos’è greco e cos’è italiano poiché tutto si accorda bene nella loro unica e completa personalità. Certamente, gli studenti stessi sono più adatti a rispondere. Resta a me soltanto osservare quanto sono interessati quando sentono che uno scrittore italiano è nato in Grecia o che un letterato greco che ha vissuto in Italia. Come se trovassero, o semplicemente cercassero, ulteriori elementi che li accomunano”.

Nel loro lavoro i ragazzi hanno omesso i nomi dei due protagonisti.

“Non è semplicemente per rispetto all’originale, visto che anche Pirandello non presenta mai i suoi due protagonisti con i propri nomi. È anche un pirandellismo per così dire aggiornato: la sofferenza esistenziale non ha il viso di una persona, la crisi psicologica non porta il nome di una specifica persona, e ha così valore universale”.